martedì 31 marzo 2015

Cosa significa rieducare?

Uno sguardo retrospettivo

Ricostruire la storia attraverso cui una persona arriva alla costruzione di sé come soggetto è la premessa necessaria per analizzare e comprendere quelle storie che presentano esiti diversi e spesso dolorosi sia per chi li vive, sia per chi vive con loro.
Come ho detto nei post precedenti, lo sviluppo di ciascun individuo non dipende esclusivamente dalle situazioni a lui esterne, né da un loro condizionamento che si eserciterebbe sulla persona come una forza meccanica: anche se alcune circostanze svolgono un ruolo indiscutibile, lo sviluppo del soggetto dipende anche e soprattutto dall'attività intenzionale della coscienza individuale. 
In ogni caso, ciascuno ha un bagaglio di esperienze e vissuti diversi che necessitano di appositi approcci educativi, interventi di rielaborazione mirati, specifici ed orientati in base allo specifico modo di essere del ragazzo.

Focalizzare l'origine del disadattamento sociale significa indirizzare l'intervento pedagogico. L' "oggetto" dell'educazione, quindi, non è più il comportamento da reprimere o da controllare, ma il soggetto e, più precisamente, quel suo particolare vissuto che ne è all'origine. Si tratta quindi di accompagnare il ragazzo verso una progressiva acquisizione di autocoscienza, attraverso una rivisitazione del suo modo di pensare e di intenzionare la realtà. Lo scopo della relazione educativa è, come ho precedentemente detto, quello di permettere al ragazzo di riformulare la sua percezione di se stesso e del mondo.
In sintesi, si può dire che la rieducazione consiste in un intervento che si pone come obiettivo quello di rimodulare gli schemi di interpretazione di se stessi e del proprio mondo relazionale.



L'intervento ri-educativo

Ho definito l'irregolarità della condotta come l'esito di un disturbo della capacità intenzionale; ciò significa che bisogna considerare quel preciso comportamento irregolare e/o deviante come l'espressione, l'indice di un particolare e disadattivo modo di percepire sé, il mondo e se stesso nel mondo.

Ma qual è quel malessere, quel disturbo all'origine del comportamento irregolare?  

Ho già detto che il comportamento di un individuo è strettamente legato alla sua visione del mondo, la quale dipende a sua volta dalle esperienze e dai vissuti di ciascuno. La definiamo come un insieme di credenze e valori con cui interpretiamo le situazioni che viviamo ed i fatti che accadono, attraverso la quale attribuiamo un significato al presente e cerchiamo di indirizzarci verso il futuro.
Il compito dell'educatore è quello di provocare una progressiva trasformazione di quella visione del mondo e una ristrutturazione dell'attività intenzionale del ragazzo: del suo modo di vedere se stesso, gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà, infine sviluppare la capacità di negoziare con l'altro le interpretazioni e i significati attribuiti al mondo.




Concretamente...

Perché quella trasformazione radicale possa compiersi è necessario che il ragazzo faccia nuove e diverse esperienze, pensate e costruite per stimolarlo e condurlo alla consapevolezza della necessità di rivedere le proprie convinzioni e i propri valori.

Una delle caratteristiche fondamentali di ogni intervento educativo e ri-educativo è quella dell'orientamento al futuro, ovvero di una rinnovata proiezione di se stessi nel futuro, possibile solo dopo una rivisitazione critica del passato, una nuova attribuzione di senso al proprio vissuto e un effettivo suo superamento.




Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.

lunedì 30 marzo 2015

L'intervento pedagogico. Verso la coscienza intenzionale

Ogni individuo in quanto soggetto vivente ha la caratteristica essenziale dell'intenzionalità della coscienza, ovvero ha la capacità di investire di senso il mondo naturale e sociale. Nell'intenzionare, la coscienza attribuisce un significato e un valore all'oggetto: la realtà esiste ed assume il significato che ciascun soggetto le presta; è il soggetto a costruirsi delle rappresentazioni sensate del mondo che lo circonda, ed è in questo senso che sussiste l'affermazione "soggetto e oggetto si costruiscono reciprocamente". La realtà diventa tale solo dopo che le è stata attribuita una definizione da un soggetto, preceduta da un suo investimento di significati.
Ciascuno ha quindi una personale visione del mondo, una rappresentazione significativa della realtà che necessita di continue negoziazioni intersoggettive. Questa rete di relazioni, impedisce che il mondo rappresentato possa essere oggettivo, nel senso di unico e identico per tutti. 
Costruire la propria visione del mondo è un processo di continua mediazione tra i vincoli del reale e le possibilità dell'individuo. La famiglia, l'ambiente sociale e culturale e il momento storico in cui una persona vive, propongono regole implicite di interpretazione della realtà, un insieme di significati e valori condivisi.
Il comportamento deviante è perciò sempre la parte di un tutto complesso ed originale: il soggetto. E' quindi fondamentale guardare il ragazzo difficile nella sua globalità e comprendere il senso che quel ragazzo dà al suo comportamento in base al valore e al significato che per lui hanno la realtà, la sua stessa persona, le sue esperienze vissute. Si tratta cioè di prendere in esame il senso che egli attribuisce al suo comportamento, di interrogarsi sul tipo di motivazione che relaziona soggetto e mondo.


Un intervento pedagogico deve partire dalla consapevolezza che il ragazzo percepisce, pensa e si esprime in un certo modo in base all'esperienza che gli è stata trasmessa e ai modelli cui è stato esposto. E' dunque importante conoscere il passato del ragazzo, la sua storia famigliare e culturale, per comprendere il suo comportamento antisociale.
Educatore ed educando dovrebbero ripercorrere gli incontri passati del soggetto con gli altri, i momenti passivi, i limiti e le lacune delle sue esperienze di formazione della personalità per eventualmente reindirizzare l'incontro tra il soggetto, il mondo e l'altro.
L'educatore ha il compito di proporre nuovi e diversi modelli di rapporto attivo tra la coscienza e il mondo.
Lo sforzo educativo o ri-educativo si propone di indirizzare il soggetto verso la progressiva conquista della sua coscienza come coscienza intenzionale, verso la consapevolezza della sua capacità di intenzionare attivamente il mondo.
La relazione educativa si configura dunque come quell'azione intenzionale che apre una proposta di autonomia dell'educando, attraverso la costruzione di un rapporto significativo di consapevolezza, reciprocità e fiducia tra educatore ed educando. La finalità è quella di rendere la persona consapevole e responsabile del suo essere soggetto attivo nel mondo e con gli altri.





Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.

Devianza minorile. Alla ricerca dei significati

Nel post precedente ho parlato a lungo della condizione di difficoltà esistenziale che caratterizza il fenomeno devianza minorile. Questo però non significa accomunare tante storie di vita, né privarle del riconoscimento delle singolarità e specificità di ognuna di esse. Il mio intento è quello di partire dalla difficoltà esistenziale come categoria euristica e andare alla ricerca del significato racchiuso negli atteggiamenti, nelle azioni e negli stili di vita con cui ogni persona traduce quella sua particolare difficoltà.
Ciò significa assumere la specificità individuale come momento fondamentale che segna il passaggio dalla condizione di difficoltà esistenziale all'agire antisociale, e interpretare quest ultimo come l'espressione di un particolare significato attribuito alla propria esistenza.
A partire dall'investigazione ottocentesca sul determinismo, si è fatta sempre più forte l'esigenza di spiegare il fenomeno del disadattamento minorile: prima riconducendolo all'interno del paradigma eziologico, sviluppando poi le ricerche sulle teorie biologiche della devianza (vedi Lombroso). 
Dalla seconda metà del secolo scorso ci si è invece lasciati alle spalle l'idea di devianza come problema del singolo individuo e si è approdati a delle nuove teorie che guardano alla devianza come ad un fenomeno sociale, e che quindi considerano l'individuo come un soggetto attivo, inserito in una rete di relazioni con altri individui che si influenzano reciprocamente.
Secondo tale linea di pensiero, i fattori biologici, psicologici e famigliari non sono cause del comportamento deviante, ma realtà suscettibili di senso dal soggetto e da chi lo circonda. E' l'individuazione del particolare significato che permette di cogliere le ragioni del passaggio ad un certo agire.


Il contributo soggettivo nella costruzione di devianza


L'approccio costruttivista
Il contributo della società nel determinare la devianza viene individuato nelle interazioni sociali, negli scambi comunicativi e nelle manipolazioni simboliche attraverso cui un soggetto viene considerato e definito deviante dagli altri. La costruzione sociale della devianza è quindi individuata nel valore simbolico di alcune pratiche e forme di comunicazione interpersonale (processi di etichettamento e forme di controllo sociale).
Tale approccio riconosce, però, la centralità del soggetto e i processi personali in base ai quali egli partecipa attivamente alla costruzione di se stesso...di se stesso come deviante, ma anche di se stesso come capace di cambiamento.


L'approccio interazionista
Considera il comportamento deviante come il risultato di un insieme di interazioni simboliche e pratiche intersoggettive situazionate. Il contributo soggettivo si concretizza come quelle elaborazioni cognitive in base alle quali un individuo attribuisce significato agli eventi che lo circondano, stabilisce gli scopi del proprio agire e individua quei nessi che lo tendono legittimabile. Anche il processo mediante il quale una persona diventa deviante è frutto di una mediazione tra condizioni di vita oggettivamente descrivibili ed elaborazioni cognitive di esse. 
Si sottolinea dunque il ruolo attivo del soggetto nell'elaborazione dei condizionamenti che lo circondano.


L'approccio pedagogico

Valorizza il soggetto in quanto luogo di significazione della realtà e di riformulazione o di superamento delle definizioni condivise della realtà.
Il contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo è l' oggetto specifico di riflessione e intervento di tale approccio, secondo il quale il comportamento antisociale diventa forma di agire comunicativo
Comprendere l'agire deviante significa cogliere quella particolare visione del mondo, inserita in un altrettanto particolare sistema di significati attraverso i quali il ragazzo interpreta la realtà e progetta di
 conseguenza la sua esistenza.







Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.

venerdì 27 marzo 2015

Difficoltà come categoria pedagogica




« Mi sono sentito solo troppo presto e così ho cercato la via più facile per sentirmi importante, per cercare di essere un'altra persona » 



Discoteca, guida senza patente, furti, rapine, uso di stupefacenti... Questo è stato il suo tentativo di vivere.


In Ragazzi difficili vengono analizzati esperienze e vissuti diversi, comportamenti non omogenei e percorsi di vita non sovrapponibili, ma legati da un denominatore comune: gli agiti dei ragazzi vengono percepiti come dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale, per questo marcano la diversità di chi li compie rispetto agli altri.
Ogni società elabora infatti dei modelli di pensiero e di comportamento, che di fatto guidano decisioni e le pratiche nei confronti dei minori -e più in generale, di tutti- e stabiliscono le soglie di accettabilità sociale delle loro condizioni di vita e del loro comportamento. Sulla base di tale insieme di assunti più o meno condivisi, un minore può quindi venire considerato a rischio, irregolare, disadattato o delinquente. A causa del loro comportamento o di un loro comportamento, queste persone vengono accomunate dalla strutturazione debole o disadattiva di una visione del mondo e di se stessi nel mondo con gli altri. 
E' dunque necessario essere consapevoli della propria appartenenza ad un insieme di pratiche sociali che considera alcuni comportamenti inadeguati sulla base di un accordo intersoggettivo circa ciò che conta come esistenza e comportamento accettabile.
La scelta di Bertolini di classificare i ragazzi in un'unica categoria, ovvero quella dei difficili, è data dalla necessità di focalizzare come pertinente ciò che precede l'individuazione delle differenze sul piano del loro comportamento, ovvero la percezione di una difficoltà. In altre parole, ci invita a pensare loro come dei soggetti che, in circostanze date e in riferimento a modelli storicamente e culturalmente variabili, vengono percepiti come difficili. 

Questo legame apparentemente causale tra determinate caratteristiche ambientali e tasso di criminalità mi spinge a dare un'identità a quelli che ho definito prima come ragazzi a rischio: si tratta di ragazzi che vivono in situazioni caratterizzate da carenze di tipo sia materiale che relazionale. Per carenze materiali intendo contesti sociali profondamente degradati, in cui l'esistenza di ciascuno è permeata da una generale povertà, insicurezza economica e disagio abitativo. Per carenze relazionali faccio invece riferimento a particolari situazioni o storie famigliari: forme di rifiuto e/o di abbandono più o meno consapevolmente agite dai genitori o da altre figure di riferimento fino alla disgregazione della famiglia, oppure modelli genitoriali poco adeguati, con comportamenti tendenti alla devianza. 
Questo genere di condizioni che fanno da sfondo all'esperienza evolutiva del bambino o del ragazzo, possono essere considerate fonti di disagio sociale futuro. Di qui la denominazione ragazzi a rischio di devianza, di emarginazione, di disturbi della personalità. Secondo questo assunto, la concatenazione causale che si innesta tra passato, presente e futuro legittima l'attenzione sociale verso quei ragazzi nell'attuazione di interventi educativi di carattere preventivo.

Aldilà delle previsioni riguardo i possibili disagi e disturbi futuri, è importante il fatto che questi ragazzi vivono in una situazione contraddistinta da disfunzioni materiali, affettive e relazionali. L'intervento educativo ha quindi come prima istanza quella di costruire attorno al minore un contesto adeguato dal punto di vista educativo e di risolvere il disagio attuale.
Avviene così il passaggio da ragazzi a rischio, ovvero da categoria usata come criterio selettivo per organizzare servizi e interventi sociali, a ragazzi difficili, che devono essere ripensati come persone che 
vivono esperienze formative pedagogicamente 
non sostenibili in contesti caratterizzati da disagio.






Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento,  La nuova Italia, Firenze, 1993.

giovedì 26 marzo 2015

Piero Bertolini: la pratica pedagogica

Ho scelto di dedicare questo blog ad una riflessione sulla pratica pedagogica di Piero Bertolini, facendo riferimento soprattutto alla sua esperienza di lavoro con i giovani, in quanto sto svolgendo un tirocinio formativo in una comunità educativa per minori e i Suoi testi sono per me fonte preziosa di insegnamento.


Pierluigi (Piero) Bertolini 




« Un autentico educatore non può che essere ottimista, anche se naturalmente non intendo un ottimismo vago, puramente emotivo, sentimentale... perché l’ottimismo vuol dire avere fiducia negli altri e in particolare avere fiducia nel bambino, nel ragazzo. Se un educatore è ottimista è portato ad aiutare il bambino a essere anche lui ottimista, cioè a essere orientato verso un modo di vivere che lo veda attivo, consapevole di poter intervenire nella realtà per trasformarla, per trasformarla in qualcosa di migliore »





Piero Bertolini (1931-2006) era un pedagogista e un filosofo dell'educazione. 

Le sue due grandi ispirazioni alla pratica pedagogica furono l'esperienza dello Scautismo, uno dei più grandi movimenti di educazione non formale dei giovani e di civismo responsabile attraverso lo sviluppo delle proprie attitudini, e quella di direttore per dieci anni -dal 1958 al 1968- del Cesare Beccaria, il carcere minorile milanese dove poté sperimentare con successo le innovazioni educative fondate sul principio di istituzione aperta.






Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.
Piero Bertolini, L'ottimismo dell'educatore, Articolo gennaio-febbraio 2002
http://it.wikipedia.org/wiki/Piero_Bertolini