Nel post precedente ho parlato a lungo della condizione di difficoltà esistenziale che caratterizza il fenomeno devianza minorile. Questo però non significa accomunare tante storie di vita, né privarle del riconoscimento delle singolarità e specificità di ognuna di esse. Il mio intento è quello di partire dalla difficoltà esistenziale come categoria euristica e andare alla ricerca del significato racchiuso negli atteggiamenti, nelle azioni e negli stili di vita con cui ogni persona traduce quella sua particolare difficoltà.
Ciò significa assumere la specificità individuale come momento fondamentale che segna il passaggio dalla condizione di difficoltà esistenziale all'agire antisociale, e interpretare quest ultimo come l'espressione di un particolare significato attribuito alla propria esistenza.
A partire dall'investigazione ottocentesca sul determinismo, si è fatta sempre più forte l'esigenza di spiegare il fenomeno del disadattamento minorile: prima riconducendolo all'interno del paradigma eziologico, sviluppando poi le ricerche sulle teorie biologiche della devianza (vedi Lombroso).
Dalla seconda metà del secolo scorso ci si è invece lasciati alle spalle l'idea di devianza come problema del singolo individuo e si è approdati a delle nuove teorie che guardano alla devianza come ad un fenomeno sociale, e che quindi considerano l'individuo come un soggetto attivo, inserito in una rete di relazioni con altri individui che si influenzano reciprocamente.
Secondo tale linea di pensiero, i fattori biologici, psicologici e famigliari non sono cause del comportamento deviante, ma realtà suscettibili di senso dal soggetto e da chi lo circonda. E' l'individuazione del particolare significato che permette di cogliere le ragioni del passaggio ad un certo agire.
Il contributo soggettivo nella costruzione di devianza
L'approccio costruttivista
Il contributo della società nel determinare la devianza viene individuato nelle interazioni sociali, negli scambi comunicativi e nelle manipolazioni simboliche attraverso cui un soggetto viene considerato e definito deviante dagli altri. La costruzione sociale della devianza è quindi individuata nel valore simbolico di alcune pratiche e forme di comunicazione interpersonale (processi di etichettamento e forme di controllo sociale).
Tale approccio riconosce, però, la centralità del soggetto e i processi personali in base ai quali egli partecipa attivamente alla costruzione di se stesso...di se stesso come deviante, ma anche di se stesso come capace di cambiamento.
L'approccio interazionista
Considera il comportamento deviante come il risultato di un insieme di interazioni simboliche e pratiche intersoggettive situazionate. Il contributo soggettivo si concretizza come quelle elaborazioni cognitive in base alle quali un individuo attribuisce significato agli eventi che lo circondano, stabilisce gli scopi del proprio agire e individua quei nessi che lo tendono legittimabile. Anche il processo mediante il quale una persona diventa deviante è frutto di una mediazione tra condizioni di vita oggettivamente descrivibili ed elaborazioni cognitive di esse.
Si sottolinea dunque il ruolo attivo del soggetto nell'elaborazione dei condizionamenti che lo circondano.
L'approccio pedagogico
Valorizza il soggetto in quanto luogo di significazione della realtà e di riformulazione o di superamento delle definizioni condivise della realtà.
Il contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo è l' oggetto specifico di riflessione e intervento di tale approccio, secondo il quale il comportamento antisociale diventa forma di agire comunicativo.
Comprendere l'agire deviante significa cogliere quella particolare visione del mondo, inserita in un altrettanto particolare sistema di significati attraverso i quali il ragazzo interpreta la realtà e progetta di
conseguenza la sua esistenza.
Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La nuova Italia, Firenze, 1993.
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