venerdì 27 marzo 2015

Difficoltà come categoria pedagogica




« Mi sono sentito solo troppo presto e così ho cercato la via più facile per sentirmi importante, per cercare di essere un'altra persona » 



Discoteca, guida senza patente, furti, rapine, uso di stupefacenti... Questo è stato il suo tentativo di vivere.


In Ragazzi difficili vengono analizzati esperienze e vissuti diversi, comportamenti non omogenei e percorsi di vita non sovrapponibili, ma legati da un denominatore comune: gli agiti dei ragazzi vengono percepiti come dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale, per questo marcano la diversità di chi li compie rispetto agli altri.
Ogni società elabora infatti dei modelli di pensiero e di comportamento, che di fatto guidano decisioni e le pratiche nei confronti dei minori -e più in generale, di tutti- e stabiliscono le soglie di accettabilità sociale delle loro condizioni di vita e del loro comportamento. Sulla base di tale insieme di assunti più o meno condivisi, un minore può quindi venire considerato a rischio, irregolare, disadattato o delinquente. A causa del loro comportamento o di un loro comportamento, queste persone vengono accomunate dalla strutturazione debole o disadattiva di una visione del mondo e di se stessi nel mondo con gli altri. 
E' dunque necessario essere consapevoli della propria appartenenza ad un insieme di pratiche sociali che considera alcuni comportamenti inadeguati sulla base di un accordo intersoggettivo circa ciò che conta come esistenza e comportamento accettabile.
La scelta di Bertolini di classificare i ragazzi in un'unica categoria, ovvero quella dei difficili, è data dalla necessità di focalizzare come pertinente ciò che precede l'individuazione delle differenze sul piano del loro comportamento, ovvero la percezione di una difficoltà. In altre parole, ci invita a pensare loro come dei soggetti che, in circostanze date e in riferimento a modelli storicamente e culturalmente variabili, vengono percepiti come difficili. 

Questo legame apparentemente causale tra determinate caratteristiche ambientali e tasso di criminalità mi spinge a dare un'identità a quelli che ho definito prima come ragazzi a rischio: si tratta di ragazzi che vivono in situazioni caratterizzate da carenze di tipo sia materiale che relazionale. Per carenze materiali intendo contesti sociali profondamente degradati, in cui l'esistenza di ciascuno è permeata da una generale povertà, insicurezza economica e disagio abitativo. Per carenze relazionali faccio invece riferimento a particolari situazioni o storie famigliari: forme di rifiuto e/o di abbandono più o meno consapevolmente agite dai genitori o da altre figure di riferimento fino alla disgregazione della famiglia, oppure modelli genitoriali poco adeguati, con comportamenti tendenti alla devianza. 
Questo genere di condizioni che fanno da sfondo all'esperienza evolutiva del bambino o del ragazzo, possono essere considerate fonti di disagio sociale futuro. Di qui la denominazione ragazzi a rischio di devianza, di emarginazione, di disturbi della personalità. Secondo questo assunto, la concatenazione causale che si innesta tra passato, presente e futuro legittima l'attenzione sociale verso quei ragazzi nell'attuazione di interventi educativi di carattere preventivo.

Aldilà delle previsioni riguardo i possibili disagi e disturbi futuri, è importante il fatto che questi ragazzi vivono in una situazione contraddistinta da disfunzioni materiali, affettive e relazionali. L'intervento educativo ha quindi come prima istanza quella di costruire attorno al minore un contesto adeguato dal punto di vista educativo e di risolvere il disagio attuale.
Avviene così il passaggio da ragazzi a rischio, ovvero da categoria usata come criterio selettivo per organizzare servizi e interventi sociali, a ragazzi difficili, che devono essere ripensati come persone che 
vivono esperienze formative pedagogicamente 
non sostenibili in contesti caratterizzati da disagio.






Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento,  La nuova Italia, Firenze, 1993.

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