venerdì 10 aprile 2015

L'educatore

Essere esperienza dell'altro

Predisporre delle situazioni in cui il ragazzo possa sperimentare il valore dell'essere con gli altri è una delle strategie centrali dell'educazione dei ragazzi difficili.
L'educatore deve essere consapevole che la sua figura incide sul processo formativo del ragazzo; dal momento che il suo lavoro consiste essenzialmente nel vivere con il ragazzo, la sua presenza nel campo diventa una particolare esperienza dell'altro. La sua figura, il suo modo di mettersi in gioco, di agire e di comunicare sono dunque sempre fattori di formazione. Costruire un rapporto significativo significa che l'educatore deve proporsi come punto di riferimento costante nella vita quotidiana del ragazzo.
La capacità di monitorare il proprio modo di mettersi in scena di fronte al ragazzo (il proprio linguaggio, le proprie azioni e reazioni) è quindi parte integrante della competenza professionale dell'educatore.










Strategie pedagogiche di tipo relazionale









Disponibilità e autorevolezza

Come avevo precedentemente detto, i primi incontri tra educatore e ragazzo sono spesso caratterizzati da una sostanziale diffidenza di quest ultimo nei confronti dell'adulto. Nonostante ciò, l'incontro e la relazione con l'educatore devono trasformarsi per il ragazzo in un'occasione per sperimentare che l'adulto può essere diverso da quelli che ha incontrato in precedenza. Dall'altro lato, l'educatore deve accettare il ragazzo come persona della quale è possibile fidarsi, deve essere disponibile a scommettere su di lui e sulle sue capacità di cambiamento in senso migliorativo. Affinché ciò sia possibile, è indispensabile che l'educatore metta tra parentesi, sospenda ogni giudizio, a favore della comprensione entropatica che deve avere luogo.

Disponibile e attento alle sue necessità, egli deve essere capace di affrontare e risolvere assieme al ragazzo tutti i problemi e le incertezze che gli si presentano. Per fare ciò, dovrà mettersi dal punto di vista del ragazzo, condividere l'importanza che il ragazzo stesso attribuisce alle cose anche quando queste sembrano banali ed irrilevanti. La disponibilità dell'educatore si traduce quindi in capacità di ascoltare

L'autorevolezza deriva invece  dalla necessità di stabilità, fatta di norme che indirizzano l'agire verso scopi significativi per il ragazzo e condivisi anche dall'altro e di vincoli indispensabili per il raggiungimento di un certo scopo. Ciò permette al ragazzo di sperimentare che adeguare il suo comportamento alla regola, accettare i limiti imposti dall'educatore è un modo di agire che conviene prima di tutto a lui! Essere un educatore autorevole significa attuare interventi che dimostrino concretamente le possibilità aperte dal porre dei limiti al proprio comportamento.






Transfert pedagogico

Di qualunque genere esse siano, le risposte emotive dei ragazzi costituiscono il segno che le strategie di comunicazione e di animazione adottate dall'educatore hanno provocato una messa in discussione degli abituali schemi di comportamento del ragazzo.
Il transfert pedagogico è un momento centrale nell'educazione dei ragazzi difficili, in quanto segna la rottura degli abituali schemi di relazione e l'ingresso in un nuovo schema, centrato sulla capacità intenzionale, che ha luogo grazie al modello di intenzionaliltà incarnato dall'educatore.

La differenza di genere incide molto sulle forme e sui contenuti della comunicazione tra educatore o educatrice e ragazzo o ragazza.  La presenza di educatori di entrambi i sessi nei servizi per minori è un'importante variabile istituzionale capace di attivare nei ragazzi la capacità di tarare stili relazionali e  modalità comunicative in funzione della peculiarità dell'interlocutore. In altre parole, permette che si strutturi una particolare esperienza pedagogica dell'altro: di fronte all'altro dello stesso sesso o di sesso diverso, il ragazzo può sperimentare i differenti modi di costruire una relazione significativa con l'alterità di genere.

La funzione del transfert pedagogico è quella di provocare una direzionalità verso il futuro, un'apertura al possibile, il senso di essere un soggetto che vuole e sa intenzionare il reale.




Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993


mercoledì 8 aprile 2015

Dilatare il campo di esperienza

Nuovi orizzonti di senso


Ciò che in genere caratterizza la biografia dei ragazzi difficili è il fatto di aver vissuto esperienze tutte dello stesso segno: 
incontri con il mondo e con gli altri che, in un modo o nell'altro, generavano una visione del mondo disfunzionale. 
Si tratta di esperienze che costringevano la gamma dei loro significati possibili ad uno spetto molto ristretto. 
La visione del mondo da esse derivante sarà pertanto condizionata dalla qualità delle realtà incontrate

Per quanto possano essere numerose ed eclatanti, quelle del ragazzo difficile non gli lasciano in genere molte alternative riguardo al significato loro attribuibile. 
Una vita apparentemente ricca di esperienze può dunque nascondere un'attività interpretativa decisamente misera! 
In altre parole, il valore condizionante delle esperienze di vita tipiche del ragazzo difficile sul suo sviluppo non dipende tanto dal numero o dalla loro sproporzione rispetto all'età, quanto piuttosto da una particolare combinazione dei due elementi, ovvero l'univocità. E' questa infatti che incide sulla capacità di interpretare il reale, di pensarsi all'origine di questa interpretazione e di negoziare con gli altri il valore attribuito o attribuibile all'esperienza.
Proporre un preciso quadro teorico per l'azione rieducativa significa tradurlo nella proposta metodologica della dilatazione del campo di esperienza del ragazzo: ampliare l'orizzonte qualitativo degli incontri del ragazzo con il mondo. 






L'ipotesi di fondo è che il confronto con esperienze diverse, qualitativamente non omogenee, l'ampliamento della gamma degli incontri con il mondo e con gli altri, il fatto di sperimentare modi diversi di relazionarsi alle cose e alle persone... possa essere una sorta di provocazione a pensare che il mondo è -o può essere- significato in molti e diversi modi, ad ampliare o riformulare la capacità soggettiva di investire di senso la realtà.




Essendo l'obiettivo finale della rieducazione quello di giungere ad una (auto)ridefinizione della visione del mondo da parte del ragazzo, bisogna in primo luogo fornirgli le opportunità affinché ciò possa avvenire. 
Ogni pratica rieducativa dovrebbe quindi proporre nuovi, diversi e possibili modi di stare al mondo.




Strategie pedagogiche indirette 



Come ho precedentemente sostenuto, spesso il comportamento antisociale del ragazzo è un modo per non sentirsi schiacciato dal suo senso di impotenza e nullità.
Uno degli obiettivi fondamentali del percorso rieducativo è dunque la costruzione di un ottimismo esistenziale, cioè un senso di appagamento che nasce dal pensarsi all'origine di un progetto di investimento di senso al mondo capace di realizzarsi.
Come?
  • Attraverso pratiche di restituzione, la cui finalità consiste nel colmare le carenze affettive, materiali e formative del ragazzo, soprattutto laddove egli sia stato allontanato dall'ambiente che le ha generate. Si tratta nel costruire intorno al ragazzo un ambiente dignitoso, indispensabile affinché egli possa acquisire il senso del proprio valore a partire dall'immagine di sé che l'ambiente per primo gli rinvia. In questo senso, l'educatore funge da specchio che deforma in senso compensatorio la sua percezione di sé.
  • Costruendo relazioni significative positive tra il ragazzo e il mondo adulto: egli ha bisogno di incontrare persone capaci di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni affettivi. A partire dalla sua età e dalla sua esperienza pregressa, egli dovrà vedere nell'educatore la possibilità di vivere rapporti affettivi adeguati e di compiere identificazioni produttive.
  • Infine, il percorso rieducativo deve prevedere una serie di gratificazioni per il ragazzo.  
    Si tratta semplicemente di valorizzare i suoi successi personali, anche quelli modesti, e di favorire i suoi particolari interessi, per quanto ingenui possano sembrare.








Strategie indirette - L'educazione al bello 



Una caratteristica ricorrente dei ragazzi difficili è una sorta di sordità nel cogliere il bello, dovuta ad una quasi totale assenza di esperienze di questo tipo nella loro vita. In questi casi, frequentare mostre, musei e gallerie non è affatto produttivo per il ragazzo, in quanto egli non possiede alcun schema interpretativo che gli permetta di cogliere quelle cose come belle
L'educazione estetica deve dunque partire dall'incontro con una realtà fruibile, di solito già presente nel modello cognitivo con cui il ragazzo abitualmente inquadra il mondo: la sfida nei confronti della difficoltà, il senso dell'avventura, il fascino dell'imprevisto e dello straordinario... In questo senso è possibile prevedere un percorso che, partendo da esperienze del bello naturale (una passeggiata in montagna), giunga al bello artistico (qualcosa di più "raffinato", ad esempio il tramonto in montagna).
Lo scopo di queste pratiche è quello di fare in modo che egli si collochi in modo nuovo rispetto al mondo. Attraversare queste esperienze è un modo per acquisire la consapevolezza che è possibile riscontrare il bello un  po' ovunque, anche nelle piccole realtà quotidiane. 

L'appropriazione, da parte del ragazzo, di questa nuova categoria - la bellezza - lo rende capace di esercitare un giudizio sul reale: ci saranno dunque realtà belle e realtà brutte, meno belle e meno brutte.
Le esperienze di cui ho parlato prima servono sostanzialmente a provocare la consapevolezza che la realtà non è bella in sé, ma che la bellezza della realtà è frutto di un'interpretazione che dipende sia dai suoi tratti caratteristici, sia dal relazionarsi al soggetto che li guarda. Tutto ciò permette al ragazzo di cogliere l'aspetto soggettivo dell'attribuzione di senso al mondo e dunque scoprirsi all'origine del processo di significazione.

L'educazione al bello non è però solo educazione al suo riconoscimento e alla sua fruizione, ma anche educazione alla sua costruzione. Da un punto di vista metodologico, essa potrebbe tradursi in attività volte al miglioramento di un certo ambiente (ripulire un bosco dai rifiuti) o alla produzione di oggetti (dipinti, foto), purché si tratti di attività motivanti per il ragazzo! Il punto fondamentale è che esse offrano l'opportunità di rendersi conto che a volte è necessario modificare la realtà perché possa essere definita bella.


Strategie indirette - L'educazione al difficile


Come ho precedentemente detto, la vita del ragazzo difficile scorre sotto il segno della non-responsabilità, in quanto egli non percepisce il suo contributo nella costruzione della realtà stessa né dei vincoli che lo legano ad essa. Per questo i progetti educativi si basano sulla necessità che i ragazzi si impegnino a scuola, nella formazione professionale o nel lavoro. Il fatto è che, nella maggior parte dei casi, questi non sono contesti significativi per i ragazzi!
E' dunque necessario costruire delle esperienze in cui l'impegno e la responsabilità siano delle strategie di azione efficaci, cioè servano a raggiungere uno scopo che deve essere motivante per il ragazzo. Piuttosto che concentrarsi sul loro valore finale, conviene proporne il valore strumentale
Concretamente, si tratta di proporre attività, sport o competizioni a squadre con ostacoli e prove da superare impossibili, se non attraverso i mezzi dell'impegno e della responsabilità, che nell'esempio si traducono in richieste di aiuto da parte del ragazzo, verso la via della cooperazione. Lo scontro tra il ragazzo e i vincoli della realtà e il suo risolversi in una momentanea frustrazione, apre uno sbocco quasi obbligatorio al riconoscimento dell'altro.






 L'esperienza dell'altro 




Collocare le esperienze all'interno di uno scenario intersoggettivo è funzionale anche ad una progressiva formazione dell'identità personale: la costituzione di un'identità soggettiva pone l'esperienza dell'altro come momento pedagogico fondamentale all'interno del percorso educativo e rieducativo dei ragazzi difficili.
Si possono però distinguere due tipi di esperienza dell'altro:
  1. l'incontro di ciascun ragazzo con l'educatore 
  2. l'incontro di ciascun ragazzo con il gruppo di pari
L'intervento dell'educatore consiste in primo luogo nel guidare la formazione del gruppo, senza che questo venga percepito dai ragazzi come un'imposizione esterna. Egli dovrà far sì che le dinamiche interpersonali siano mediate da una precisa attività (giochi a squadre, progetti con una precisa distribuzione dei compiti...) che faccia da sfondo significativo per i ragazzi coinvolti.
L'esperienza dell'altro come azione di gruppo diventa un luogo di sperimentazione del principio di realtà, dove la realtà è costituita dal punto di vista dell'altro sulla situazione e dai limiti da esso imposti all'azione personale. Al ragazzo viene dunque richiesta una continua negoziazione tra azione individuale e scenario sociale.
L'educatore deve essere in grado di mantenere la funzione contenitore del gruppo, facendo sì che esso rimanga un sostegno e un punto di riferimento per il ragazzo.






Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993

giovedì 2 aprile 2015

Verso il cambiamento. Strategie educative


Comprendere se e in che misura alcune oggettive condizioni esistenziali abbiano influito nel soffocare o nel distorcere l'attività intenzionale del ragazzo è il primo passo necessario ad indirizzare l'intervento educativo. Il passo successivo sarà quello di mirare ad un cambiamento di quelle condizioni di vita e ad una destrutturazione di quegli atteggiamenti che ne costituiscono la ricaduta sul ragazzo e che si rivelano, al momento, dei vincoli insormontabili.
In alcuni casi, è necessario programmare un obiettivo intermedio: l'indebolimento di quei disturbi che, nati in particolari relazioni con altri significativi, impediscono la costruzione di qualsiasi progetto rieducativo. Si tratta di contenerne l'incisività.
Come?

  • Attraverso uno specifico sostegno psicologico
  • Allontanando il ragazzo da un certo contesto esistenziale e dunque anche da quelle esperienze che, in quel contesto, egli è in un certo senso costretto a fare
  • Prevedendo la figura di un educatore nella vita quotidiana del ragazzo, il quale possa offrirgli una nuova prospettiva con cui interpretare e ridefinire la sua esistenza nel mondo e con gli altri.
Ricordo che si tratta di combinazioni di varie possibilità di interventi calibrate sulla particolare biografia del ragazzo, che hanno lo scopo di ridurre il peso relativo che alcune caratteristiche di ordine psichico, fisico, sociale e cognitivo possono avere sul processo di ricostruzione della soggettività.



Lavorare sui significati


Il passaggio a nuove forme di vita quotidiana rappresenta un evidente momento di discontinuità con il passato, una sua presa di distanza. Da un punto di vista pedagogico è necessario cogliere ed utilizzare il valore simbolico di tale innovazione: le trasformazioni dovrebbero essere presentate al ragazzo non come costrizioni, ma come situazioni dotate di un preciso significato, ovvero quello di essere delle soglie verso un nuovo universo di relazioni possibili tra sé e il mondo. Compito dell'educatore è proprio quello di istituire il valore iniziatico di queste discontinuità materiali, utilizzandole come segni di rinnovamento possibile del sé, come un modo per iniziare a pensarsi come qualcos altro...ma questo essere altro deve apparire piacevole o, almeno, conveniente!
Questa discontinuità iniziatica può però funzionare solo se le nuove condizioni materiali e relazionali sono motivanti per il ragazzo: la nuova realtà che gli si propone deve avere una forza seduttiva sufficiente a fargli maturare una sorta di desiderio iniziatico.
Si tratta di indurre nel ragazzo il desiderio di oltrepassare quella soglia simbolicamente rappresentata dalle trasformazioni oggettive della sua esistenza quotidiana.
Sta all'educatore organizzare gli spazi, i tempi, le attività e le relazioni interpersonali in modo che acquisiscano una funzione strutturante e propositiva.



La funzione mediatrice dell'ambiente educativo


Se vogliamo che il ragazzo possa compiere nuove ed autentiche esperienze esistenziali, sarà necessario dargli i mezzi per poter compiere tali esperienze e liberarlo da quelle carenze e quelle dipendenze che costituiscono degli ostacoli per il percorso formativo.
Lo scopo di questi interventi è quello di proporre un diverso stile di vita. Per fare ciò è necessario iniziare a lavorare sull'immagine e sui segni più manifesti e visibili del sé: possiamo infatti considerare l'apparire come uno specchio dell'essere, soprattutto nella delicata fase dell'adolescenza, durante la quale si innesca un meccanismo di forte e continua adeguazione del soggetto alla maschera con cui egli si presenta agli altri.
Proporre e o imporre un certo apparire significa offrire una nuova forma con cui interpretarsi, un nuovo modello a cui adeguarsi.



Stare con gli altri


Un altro aspetto della vita del ragazzo su cui è necessario intervenire è il suo modo di stare con gli altri: i diversi stili di interazione devono essere analizzati come testimonianze della particolare visione del mondo del ragazzo e utilizzati come tracce interpretative di un certo vissuto.

Cosa fare?
  • Nei casi in cui il rapporto con l'altro appare sempre viziato da interazioni inautentiche, occorre trasmettere al ragazzo l'impressione dell'inefficacia e anche della non convenienza di quegli atteggiamenti antisociali
  • Puntare sulla partecipazione (anche obbligatoria) ad alcune attività di gruppo. In questo caso, l'educatore dovrà pensare ad attività che implichino un'interazione in cui i ruoli siano già strutturati in modo simmetrico ed equilibrato, in modo tale che il ragazzo debba stare alle regole del gioco e sia dunque costretto a sperimentarne gli esiti positivi. Comincerà così a percepire che, assumendo atteggiamenti più relazionali nei confronti del gruppo, si può vivere meglio ed evitare spiacevoli inconvenienti.


Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993

La sfida dell'incontro

Come ogni primo incontro, quello tra educatore e ragazzo difficile implica un delicato passaggio: quello del reciproco riconoscimento. 
La posta in gioco, per l'educatore, è quella di passare dall'opacità alla trasparenza di sé. In questi momenti di osservazione, tra i due soggetti ha luogo un processo di costruzione delle loro reciproche rappresentazioni ed essi sono consapevoli che ciò che l'altro penserà dell'uno sarà in parte dovuto a come egli parlerà, racconterò, si muoverà, agirà... 
E' come se durante l'incontro l'educatore e il ragazzo si mettessero in scena.
Prerequisito indispensabile all'osservatore è la consapevolezza del senso di vulnerabilità che pervade l'incontro, in quanto esso implica un certo grado esposizione di sé all'altro e un suo probabile giudizio. 
Essendo inoltre la relazione educativa fortemente asimmetrica a discapito dell'educando, quest'ultimo si sentirà in una posizione di inferiorità e di debolezza; tenderà quindi ad essere molto ansioso e verosimilmente si presenterà all'educatore con  atteggiamenti evasivi orientati più sulla difesa che sulla fiducia e sull'apertura. E' dunque altamente probabile che, al primo incontro, il ragazzo si presenti come un muro invalicabile, chiuso, lontano ed inaccessibile; l'educatore deve essere consapevole che tali atteggiamenti possono essere delle forme di difesa attraverso le quali il ragazzo cerca di far fronte al disagio e alla sensazione di essere vulnerabile di fronte all'altro.
L'immobilità del discorso iniziale e la sospensione del discorso personalizzato permettono di neutralizzare la potenziale aggressività dell'incontro e di contenere quel disagio che accompagna la percezione di essere oggetto di conoscenza.




Un altra competenza professionale fondamentale dell'educatore, soprattutto nei primi momenti di reciproca conoscenza, è la capacità di sospendere il giudizio e -ancora più difficile- il pregiudizio. Si tratta di un difficile e delicato lavoro su di sé, sulla costruzione e decostruzione del proprio punto di vista che permette di mettere fra parentesi le attribuzioni precostituite e le sedimentazioni stratificate di senso.



Forse mi ripeto, ma ci tengo a sottolineare ancora una volta quanto l'autentica comprensione dell'altro implichi un'attenzione privilegiata non tanto agli agiti e ai comportamenti irregolari dei ragazzi,quanto al senso e al significato che essi hanno avuto per il ragazzo stesso. E' dunque fondamentale che l'educatore si chieda: "Cosa ha provocato quel comportamento?", "Qual è la sua genesi?", "A quale scopo?", "In che nesso significativo sta, per il ragazzo, il suo agire?"
C'è un senso delle cose e delle esperienze che ad esse ha dato il ragazzo e c'è un senso che ad esse diamo noi, in quanto educatori. Perché la relazione educativa sia efficace è necessario che questi due sensi si pongano in comunicazione ed è all'educatore che spetta il compito di metterli in prospettiva. Egli dovrà mettersi dal punto di vista del suo educando ed osservare dal suo mondo; dovrà spogliarsi delle sue convinzioni e del suo modo di pensare e cogliere la visione del mondo del ragazzo; dovrà poter riuscire ad interpretare quel particolare comportamento così come lo interpreta il ragazzo.




Una cosa è sapere che quel ragazzo è figlio di genitori separati, un'altra cosa è capire cosa la separazione dei genitori ha significato per lui.
Una cosa è constatare che proviene da un ambiente socialmente, economicamente e culturalmente deprivato, un'altra cosa è comprendere quale immagine del mondo e di sé gli si è costruito a partire da quell'ambiente.

Un intervento educativo dovrà modularsi a partire da queste diverse percezioni.


Il lavoro d'équipe



Essere educatori non significa essere un po' psicologi, un po' sociologi, un po' assistenti sociali o avvocati, significa essere in grado di tradurre il proprio sapere pedagogico in azione educativa nella consapevolezza che in molti questo necessita di una continua negoziazione del proprio punto di vista con quello proprio di altre figure professionali.

Il lavoro d'équipe si rende dunque necessario ed è considerato la premessa necessaria di un intervento educativo efficace.
La comprensione entropatica è il risultato di un lento, progressivo e prudente lavoro di ricostruzione, di avvicinamento e di interpretazione di un soggetto, è il luogo unitario dove dovrebbero convergere più sguardi.








Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.

mercoledì 1 aprile 2015

I momenti del percorso rieducativo

Non esistono né un modello stabile, né delle regole rigide e prestabilite che guidano ogni intervento rieducativo: esso non si concretizza in una sequenza obbligata di tracce da percorrere secondo un preciso ordine. Al contrario, una pedagogia del ragazzo difficile si propone come un insieme di orientamenti e di linee guida, per sua natura caratterizzati dalla flessibilità
Tenete presente che per comodità di esposizione distinguo e spiego in successione le varie tappe fondamentali dell'intervento rieducativo anche se, nella realtà, essi si intrecciano, si sovrappongono, scivolano gli uni sugli altri.


1.La conoscenza del ragazzo

E' il primo momento fondamentale della pratica rieducativa e risponde alla necessità di arrivare ad una comprensione autentica del ragazzo, nei limiti del possibile.
E' necessario che l'educatore si metta dal punto di vista del ragazzo, guardando lui ed il mondo son i suoi occhi per cogliere la sua particolare visione del mondo, la sua capacità di intenzionare, il suo modo più o meno alterato di rapportarsi alla realtà attuale e di proiettarsi nel futuro. Il momento dell'osservazione, intesa non come uno stare a guardare quanto piuttosto come un vivere con, è dunque strettamente legato a quello della comprensione.
Questo primo momento di relazione e comunicazione fra educatore ed educando ha come finalità quella di far emergere la possibile esistenza di una difficoltà pedagogica tale da richiedere un intervento specializzato e, nel caso, di capire di che tipo di difficoltà si tratti.


2.La destrutturazione e la ristrutturazione 


Il vero e proprio processo rieducativo inizia dopo l'osservazione. 
Con i termini destrutturazione e ricostruzione intendo individuare gli interventi rivolti principalmente alla dimensione psico-fisica del ragazzo. Si tratta di azioni ed interazioni sostanzialmente mirate al superamento di alcuni limiti oggettivi che impediscono al ragazzo di esercitare la sua capacità di intenzionare. Concretamente si tratta di soddisfare alcuni bisogni di base o di sollecitare alcune capacità, di colmare le lacune sorte durante una storia di vita spesso segnata dall'indifferenza e dalla trascuratezza.





3.La dilatazione del campo di esperienza 


Si concretizza in azioni o forme di comunicazione che hanno il compito di sollecitare e rendere dinamica la vita del ragazzo, per indurlo a superare una certa fissazione dei suoi interessi e dei suoi atteggiamenti che tende a costringerlo entro schemi di comportamento tendenzialmente asociali. L'idea di fondo è quella di far vivere al ragazzo una serie di situazioni nuove e stimolanti, attraverso le quali egli sia posto nelle condizioni di sperimentare l'esistenza e il valore di prospettive esistenziali fino a quel momento conosciute.
Quali tipi di esperienze proporre, ovviamente, dipende da cosa gli educatori ritengono opportuno per quel particolare ragazzo.




4.La costruzione di una nuova visione del mondo



Ogni interazione rieducativa è consapevolmente finalizzata, cioè consiste in un progetto il cui scopo è quello di accompagnare e sollecitare il ragazzo a riguadagnare la propria soggettività, acquisendo consapevolezza del suo contributo nella costruzione della sua storia.
E' proprio l'immersione in un nuovo e più vasto campo di esperienze che permette al ragazzo quel superamento di prospettiva che rende possibile un ripensamento critico al proprio passato e l' elaborazione di un giudizio proprio.
Il compito dell'educatore consiste nel costruire le condizioni di possibilità di tale appropriazione: guidare il ragazzo a prendere consapevolezza del proprio cambiamento e delle conseguenze di un nuovo modo di dirigersi verso il mondo.




Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.

martedì 31 marzo 2015

Cosa significa rieducare?

Uno sguardo retrospettivo

Ricostruire la storia attraverso cui una persona arriva alla costruzione di sé come soggetto è la premessa necessaria per analizzare e comprendere quelle storie che presentano esiti diversi e spesso dolorosi sia per chi li vive, sia per chi vive con loro.
Come ho detto nei post precedenti, lo sviluppo di ciascun individuo non dipende esclusivamente dalle situazioni a lui esterne, né da un loro condizionamento che si eserciterebbe sulla persona come una forza meccanica: anche se alcune circostanze svolgono un ruolo indiscutibile, lo sviluppo del soggetto dipende anche e soprattutto dall'attività intenzionale della coscienza individuale. 
In ogni caso, ciascuno ha un bagaglio di esperienze e vissuti diversi che necessitano di appositi approcci educativi, interventi di rielaborazione mirati, specifici ed orientati in base allo specifico modo di essere del ragazzo.

Focalizzare l'origine del disadattamento sociale significa indirizzare l'intervento pedagogico. L' "oggetto" dell'educazione, quindi, non è più il comportamento da reprimere o da controllare, ma il soggetto e, più precisamente, quel suo particolare vissuto che ne è all'origine. Si tratta quindi di accompagnare il ragazzo verso una progressiva acquisizione di autocoscienza, attraverso una rivisitazione del suo modo di pensare e di intenzionare la realtà. Lo scopo della relazione educativa è, come ho precedentemente detto, quello di permettere al ragazzo di riformulare la sua percezione di se stesso e del mondo.
In sintesi, si può dire che la rieducazione consiste in un intervento che si pone come obiettivo quello di rimodulare gli schemi di interpretazione di se stessi e del proprio mondo relazionale.



L'intervento ri-educativo

Ho definito l'irregolarità della condotta come l'esito di un disturbo della capacità intenzionale; ciò significa che bisogna considerare quel preciso comportamento irregolare e/o deviante come l'espressione, l'indice di un particolare e disadattivo modo di percepire sé, il mondo e se stesso nel mondo.

Ma qual è quel malessere, quel disturbo all'origine del comportamento irregolare?  

Ho già detto che il comportamento di un individuo è strettamente legato alla sua visione del mondo, la quale dipende a sua volta dalle esperienze e dai vissuti di ciascuno. La definiamo come un insieme di credenze e valori con cui interpretiamo le situazioni che viviamo ed i fatti che accadono, attraverso la quale attribuiamo un significato al presente e cerchiamo di indirizzarci verso il futuro.
Il compito dell'educatore è quello di provocare una progressiva trasformazione di quella visione del mondo e una ristrutturazione dell'attività intenzionale del ragazzo: del suo modo di vedere se stesso, gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà, infine sviluppare la capacità di negoziare con l'altro le interpretazioni e i significati attribuiti al mondo.




Concretamente...

Perché quella trasformazione radicale possa compiersi è necessario che il ragazzo faccia nuove e diverse esperienze, pensate e costruite per stimolarlo e condurlo alla consapevolezza della necessità di rivedere le proprie convinzioni e i propri valori.

Una delle caratteristiche fondamentali di ogni intervento educativo e ri-educativo è quella dell'orientamento al futuro, ovvero di una rinnovata proiezione di se stessi nel futuro, possibile solo dopo una rivisitazione critica del passato, una nuova attribuzione di senso al proprio vissuto e un effettivo suo superamento.




Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965.
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento La nuova Italia, Firenze, 1993.