Nuovi orizzonti di senso
Ciò che in genere caratterizza la biografia dei ragazzi difficili è il fatto di aver vissuto esperienze tutte dello stesso segno:
incontri con il mondo e con gli altri che, in un modo o nell'altro, generavano una visione del mondo disfunzionale.
Si tratta di esperienze che costringevano la gamma dei loro significati possibili ad uno spetto molto ristretto.
La visione del mondo da esse derivante sarà pertanto condizionata dalla qualità delle realtà incontrate.
Per quanto possano essere numerose ed eclatanti, quelle del ragazzo difficile non gli lasciano in genere molte alternative riguardo al significato loro attribuibile.
Una vita apparentemente ricca di esperienze può dunque nascondere un'attività interpretativa decisamente misera!
In altre parole, il valore condizionante delle esperienze di vita tipiche del ragazzo difficile sul suo sviluppo non dipende tanto dal numero o dalla loro sproporzione rispetto all'età, quanto piuttosto da una particolare combinazione dei due elementi, ovvero l'univocità. E' questa infatti che incide sulla capacità di interpretare il reale, di pensarsi all'origine di questa interpretazione e di negoziare con gli altri il valore attribuito o attribuibile all'esperienza.
Proporre un preciso quadro teorico per l'azione rieducativa significa tradurlo nella proposta metodologica della dilatazione del campo di esperienza del ragazzo: ampliare l'orizzonte qualitativo degli incontri del ragazzo con il mondo.
L'ipotesi di fondo è che il confronto con esperienze diverse, qualitativamente non omogenee, l'ampliamento della gamma degli incontri con il mondo e con gli altri, il fatto di sperimentare modi diversi di relazionarsi alle cose e alle persone... possa essere una sorta di provocazione a pensare che il mondo è -o può essere- significato in molti e diversi modi, ad ampliare o riformulare la capacità soggettiva di investire di senso la realtà.
Essendo l'obiettivo finale della rieducazione quello di giungere ad una (auto)ridefinizione della visione del mondo da parte del ragazzo, bisogna in primo luogo fornirgli le opportunità affinché ciò possa avvenire.
Ogni pratica rieducativa dovrebbe quindi proporre nuovi, diversi e possibili modi di stare al mondo.
Strategie pedagogiche indirette
Come ho precedentemente sostenuto, spesso il comportamento antisociale del ragazzo è un modo per non sentirsi schiacciato dal suo senso di impotenza e nullità.
Uno degli obiettivi fondamentali del percorso rieducativo è dunque la costruzione di un ottimismo esistenziale, cioè un senso di appagamento che nasce dal pensarsi all'origine di un progetto di investimento di senso al mondo capace di realizzarsi.
Come?
- Attraverso pratiche di restituzione, la cui finalità consiste nel colmare le carenze affettive, materiali e formative del ragazzo, soprattutto laddove egli sia stato allontanato dall'ambiente che le ha generate. Si tratta nel costruire intorno al ragazzo un ambiente dignitoso, indispensabile affinché egli possa acquisire il senso del proprio valore a partire dall'immagine di sé che l'ambiente per primo gli rinvia. In questo senso, l'educatore funge da specchio che deforma in senso compensatorio la sua percezione di sé.
- Costruendo relazioni significative positive tra il ragazzo e il mondo adulto: egli ha bisogno di incontrare persone capaci di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni affettivi. A partire dalla sua età e dalla sua esperienza pregressa, egli dovrà vedere nell'educatore la possibilità di vivere rapporti affettivi adeguati e di compiere identificazioni produttive.
- Infine, il percorso rieducativo deve prevedere una serie di gratificazioni per il ragazzo. Si tratta semplicemente di valorizzare i suoi successi personali, anche quelli modesti, e di favorire i suoi particolari interessi, per quanto ingenui possano sembrare.
Strategie indirette - L'educazione al bello
Una caratteristica ricorrente dei ragazzi difficili è una sorta di sordità nel cogliere il bello, dovuta ad una quasi totale assenza di esperienze di questo tipo nella loro vita. In questi casi, frequentare mostre, musei e gallerie non è affatto produttivo per il ragazzo, in quanto egli non possiede alcun schema interpretativo che gli permetta di cogliere quelle cose come belle.
L'educazione estetica deve dunque partire dall'incontro con una realtà fruibile, di solito già presente nel modello cognitivo con cui il ragazzo abitualmente inquadra il mondo: la sfida nei confronti della difficoltà, il senso dell'avventura, il fascino dell'imprevisto e dello straordinario... In questo senso è possibile prevedere un percorso che, partendo da esperienze del bello naturale (una passeggiata in montagna), giunga al bello artistico (qualcosa di più "raffinato", ad esempio il tramonto in montagna).
Lo scopo di queste pratiche è quello di fare in modo che egli si collochi in modo nuovo rispetto al mondo. Attraversare queste esperienze è un modo per acquisire la consapevolezza che è possibile riscontrare il bello un po' ovunque, anche nelle piccole realtà quotidiane.
L'appropriazione, da parte del ragazzo, di questa nuova categoria - la bellezza - lo rende capace di esercitare un giudizio sul reale: ci saranno dunque realtà belle e realtà brutte, meno belle e meno brutte.
Le esperienze di cui ho parlato prima servono sostanzialmente a provocare la consapevolezza che la realtà non è bella in sé, ma che la bellezza della realtà è frutto di un'interpretazione che dipende sia dai suoi tratti caratteristici, sia dal relazionarsi al soggetto che li guarda. Tutto ciò permette al ragazzo di cogliere l'aspetto soggettivo dell'attribuzione di senso al mondo e dunque scoprirsi all'origine del processo di significazione.
L'educazione al bello non è però solo educazione al suo riconoscimento e alla sua fruizione, ma anche educazione alla sua costruzione. Da un punto di vista metodologico, essa potrebbe tradursi in attività volte al miglioramento di un certo ambiente (ripulire un bosco dai rifiuti) o alla produzione di oggetti (dipinti, foto), purché si tratti di attività motivanti per il ragazzo! Il punto fondamentale è che esse offrano l'opportunità di rendersi conto che a volte è necessario modificare la realtà perché possa essere definita bella.
Strategie indirette - L'educazione al difficile
Come ho precedentemente detto, la vita del ragazzo difficile scorre sotto il segno della non-responsabilità, in quanto egli non percepisce il suo contributo nella costruzione della realtà stessa né dei vincoli che lo legano ad essa. Per questo i progetti educativi si basano sulla necessità che i ragazzi si impegnino a scuola, nella formazione professionale o nel lavoro. Il fatto è che, nella maggior parte dei casi, questi non sono contesti significativi per i ragazzi!
E' dunque necessario costruire delle esperienze in cui l'impegno e la responsabilità siano delle strategie di azione efficaci, cioè servano a raggiungere uno scopo che deve essere motivante per il ragazzo. Piuttosto che concentrarsi sul loro valore finale, conviene proporne il valore strumentale.
Concretamente, si tratta di proporre attività, sport o competizioni a squadre con ostacoli e prove da superare impossibili, se non attraverso i mezzi dell'impegno e della responsabilità, che nell'esempio si traducono in richieste di aiuto da parte del ragazzo, verso la via della cooperazione. Lo scontro tra il ragazzo e i vincoli della realtà e il suo risolversi in una momentanea frustrazione, apre uno sbocco quasi obbligatorio al riconoscimento dell'altro.
L'esperienza dell'altro
Collocare le esperienze all'interno di uno scenario intersoggettivo è funzionale anche ad una progressiva formazione dell'identità personale: la costituzione di un'identità soggettiva pone l'esperienza dell'altro come momento pedagogico fondamentale all'interno del percorso educativo e rieducativo dei ragazzi difficili.
Si possono però distinguere due tipi di esperienza dell'altro:
- l'incontro di ciascun ragazzo con l'educatore
- l'incontro di ciascun ragazzo con il gruppo di pari
L'intervento dell'educatore consiste in primo luogo nel guidare la formazione del gruppo, senza che questo venga percepito dai ragazzi come un'imposizione esterna. Egli dovrà far sì che le dinamiche interpersonali siano mediate da una precisa attività (giochi a squadre, progetti con una precisa distribuzione dei compiti...) che faccia da sfondo significativo per i ragazzi coinvolti.
L'esperienza dell'altro come azione di gruppo diventa un luogo di sperimentazione del principio di realtà, dove la realtà è costituita dal punto di vista dell'altro sulla situazione e dai limiti da esso imposti all'azione personale. Al ragazzo viene dunque richiesta una continua negoziazione tra azione individuale e scenario sociale.
L'educatore deve essere in grado di mantenere la funzione contenitore del gruppo, facendo sì che esso rimanga un sostegno e un punto di riferimento per il ragazzo.
Piero Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bologna, Malipiero, 1965
Piero Bertolini e Letizia Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La nuova Italia, Firenze, 1993
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